Roman Opałka
OPALKA 1965/1- ∞
Détail 5057099
stampa in gelatina ai sali d’argento / gelatin silver print
30,5 × 24 cm

Roman Opałka
OPALKA 1965/1- ∞
Détail 2780351
stampa in gelatina ai sali d’argento / gelatin silver print
30,5 × 24 cm

Lucio Fontana
Concetto Spaziale, Attesa
1964-1965
idropittura azzurra su tela / light blue waterpaint on canvas
46 × 38 cm

Giovanni Anselmo
Particolare
1972
proiettore, diapositiva con la scritta “particolare” / projection, slide with the word “particolare

Hiroshi Sugimoto
Teatro dei Rinnovati, Siena
2014
stampa in gelatina ai sali d’argento / gelatin silver print
58,4 × 47 cm

Vincenzo Agnetti
Meridiana. Tempus mentis
1972
acrilico su legno, formica e alluminio / acrylic on wood, formica and aluminum
100 × 100 cm

Seconda soluzione di eternità

16.05.2018 – 14.07.2018

Artisti in mostra:

Vincenzo Agnetti
Giovanni Anselmo
Elisabetta Di Maggio
Luciano Fabro
Lucio Fontana
On Kawara
Kimsooja
Tatsuo Miyajima
Roman Opalka
Hiroshi Sugimoto

BUILDING presenta, dal 16 maggio al 14 luglio, Seconda soluzione di eternità, una mostra curata da Helmut Friedel e Giovanni Iovane, una collettiva di artisti contemporanei, che, attraverso diverse tecniche e linguaggi, dagli anni ’60 ad oggi, hanno rivolto la loro attenzione alla percezione del tempo: tempo esistenziale, durata, “un atto di fede nell’infinito” (Lucio Fontana) e persino una ossessione.

Una mostra di ‘ricerca’, la prima di BUILDING, in un percorso di carattere museale, per l’importanza dei prestiti – da istituzioni pubbliche e private – che offre alla città di Milano una nuova chiave di lettura per decodificare alcune visioni, che affascinarono artisti e tendenze dal secondo Novecento italiano agli albori del terzo millennio; un’ossessione sempre attuale e assolutamente atemporale.

Il titolo, ispirato al progetto espositivo di Gino De Dominicis (1947 – 1998) per la Biennale di Venezia nel 1972 (Seconda soluzione d’immortalità), mira a descrivere il senso, la mise en scène – nella vera accezione di riflessione e attuazione di un atto performativo – l’ossessione per il tempo, significato e significante, fenomeno fisico incommensurabile, difficile da immortalare, contenere e comprendere, inscenare e ripetere, da qui la tensione, ora mistica ora autoironica, in molti artisti contemporanei, per cogliere e replicare un ossimoro: un tempo senza tempo (timelessness).

Questa meditazione, già dichiarata nel Manifesto Spazialista di Lucio Fontana (1899 – 1968), nella sua formulazione e iterazione, in diversi esemplari di Concetto spaziale e Attese, dialoga in mostra con gli esiti di Giovanni Anselmo (1934) e Vincenzo Agnetti (1926 – 1981), ma soprattutto di Luciano Fabro (1936 – 2007), che porge all’osservatore una visione più poetica e rarefatta dell’idea di spazio e di tempo, ad esempio nelle Impronte del 1982, o in Tre modi di mettere le lenzuola del 1968 e in Davanti dietro, destra, sinistra, cielo. Tautologia, sempre del 1967-1968.

La Meridiana – tempus mentis di Agnetti offre invece una rappresentazione del tempo come reminiscenza architettonica e naturalistica, nell’ombra del sole, inseguita mentre scandisce le ore del giorno, strumento antico, che racchiude una sapienza inconsapevole, come una serie di vanitas del XVII secolo sono allegorie storiche e senza tempo.
I numeri sono segni, universali e univoci, tangibili e concreti, predisposti a ‘contare’ il tempo, o l’assenza del medesimo; il numero diviene cellula, monema e fonema, nel linguaggio di Roman Opałka (1931-2011): la sua voce, opera sonora, ne ritma in mostra la pratica artistica.

Un’altra progressione numerica, illuminata nell’oscurità, ritorna in un’opera del 1984 di Tatsuo Miyajima (1957). Mentre Hiroshi Sugimoto (1948), con la serie dei Teatri (2014-2015) introduce all’idea dell’esposizione, durata temporale, tecnica e metaforica, nelle sue fotografie, così come avviene nella pellicola e negli scatti di Kimsooja (1957), A Laundry Woman – Yamuna River, India, 2000 e A Needle Woman – Kitakyushu, sempre del 2000, mimesi e sintesi di una pratica artistica performativa.

One Million Years e I Got Up di On Kawara (1932 – 2014), sono ulteriore esito di questa ricerca: la scrittura e la ricezione di un messaggio, la lettura, intima o ad alta voce, da cui affiora un ricordo e la conseguente aspirazione alla eternità di un segno che intende comprendere passato, presente e futuro.

Nel percorso non manca un’ulteriore elaborazione, durata dieci anni (dal 2001 al 2010), eseguita su carta velina intagliata a mano, dall’artista italiana Elisabetta Di Maggio (1964).

Helmut Friedel, storico dell’arte e curatore, è stato direttore del Lenbachhaus di Monaco dal 1990 al 2013 ed è stato anche professore all’Accademia dell’Arte di Monaco.

Giovanni Iovane, critico d’arte e curatore indipendente, è professore di Storia dell’Arte Contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Brera.

Farà seguito un volume, non un catalogo, bensì una monografia che approfondirà il fil rouge della mostra.

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